Le scorse vacanze natalizie hanno permesso, al Quadrante Capitolino e a qualche amico di altri lidi, la piacevole scoperta dell’arcipelago maltese. Di seguito il diario di bordo della navigazione, arricchito di qualche aneddoto.
Ci ritroviamo il 26 dicembre al porto di Catania. Siamo Pino Siracusa ed io, i capi-barca, con i rispettivi equipaggi: Lorenzo Lo verso, Elisabetta Petrucci, Marcello Zolesi, Eliana Corazza, Anna Ciarmatori, Vittorio Donadini e Daniela Tavella. Poi: Claudio Romano, Andrea Di Marco, Cristina Dobrowolski, Paola Bonazzi, Pinuccia Golinelli e Catia Moretti.
All’arrivo, il noleggiatore si offre di accompagnarci con la sua auto in un supermarket per la cambusa. Nella foga di aiutarci, tuttavia, non si accorge di fare il tour di mezza Catania, con annessa puntatina al paese di Misterbianco, veduta panoramica dell’Etna imbiancato e nuova visita allo scalo di Fontanarossa, che non ci risulta abbia caratteristiche di particolare interesse artistico. Conclusione: a malapena raggiungiamo l’unico hard discount che ha deciso di rimanere aperto la mattina del giorno di S. Stefano, ma che adesso sta per chiudere, costringendoci ad ultimare gli acquisti in fretta e furia.
Nel pomeriggio, sbrighiamo il check-in delle nostre barche, un paio di Delphia 40 del cantiere Comar, che riveleranno buone doti nautiche, ma che presentano subito delle lacune nelle dotazioni di bordo: mancano infatti alcuni salvagenti e le linee d’ormeggio sono insufficienti. Ciononostante, decidiamo di sfruttare il meteo ancora favorevole e salpiamo alle 20.00 per Malta. Avanziamo a motore sui 7 nodi, con un po’ di onda in prua e poco vento, mentre le luci dei pescherecci incrociano la nostra rotta ed il mal di mare miete le prime vittime.
Al mattino, finalmente un bel sole illumina il profilo dell’arcipelago maltese e con un po’ di brezza guadagniamo le ultime 15 miglia a vela. Dopo 150 miglia, atterriamo al Grand Harbour Marina, nel cuore della città vecchia di Vittoriosa. Il tempo peggiora rapidamente e l’arrivo di un Gib Sea 44 con il genoa sfondato ci conferma che la faticosa smotorata notturna ci ha forse risparmiato qualche guaio.
Ci concediamo un paio di giorni per riposare e visitare la capitale, La Valletta, e la vecchia città di Medina, più all’interno, gironzolando sui coloratissimi autobus d’epoca. La temperatura è piacevole ed anche i maltesi sono cordiali e ci rispondono in italiano, colonizzati dalle televisioni del belpaese. Per strada, la guida è all’inglese e rischiamo continuamente di essere messi sotto; ah, perfida Albione, approfitti pure delle isole per imporre i tuoi standard, compreso un sistema di prese elettriche incompatibile con quello di tutti gli altri paesi. Alla sera, con una ventina di euro, assaggiamo la specialità della cucina locale: il coniglio in umido (i vicentini in ascolto sappiano tuttavia che Malta è piena di gatti, più che di conigli!).
I bagni del marina sono degni di una spa, ma il conto è salato (60 euro a notte, acqua e luce a parte) e perciò, completate le magre dotazioni di bordo con 40 metri di cima d’ormeggio da 20mm, il 29 dicembre navighiamo su Gozo, la seconda isola maltese. Di bolina, con vento teso, colmiamo le 16 miglia che ci separano dall’approdo di Mgarr, dopo aver bagnato l’ancora nell’acqua chiara della celebre Blue Lagoon, sull’isolotto di Comino.
All’indomani, i nostri vascelli circumnavigano pigramente Gozo e le sue spettacolari scogliere. Questa piccola isola mantiene un aspetto meno turistico rispetto a Malta; per la cena al vicino ristorante ce la caviamo, infatti, con appena 28 euro ed anche l’ormeggio, all inclusive, ci costa 30 euro. Inoltre, il supermercato del porto, ben fornito, espone prezzi popolari, che ci convincono a rinforzare la cambusa per l’imminente cenone.
Il 31 dicembre, ritorniamo a La Valletta e, correndo al lasco nel libeccio che ora soffia sui 20 nodi, attraversiamo il canale che separa le due isole, luccicante di creste bianche. Proseguiamo di bolina ed il vento rinforza con raffiche prossime ai 30 nodi, ma non riusciamo a ridurre il triangolo di prua: il rollafiocco è bloccato. Inutili i primi tentativi di sbloccarlo. Riusciamo comunque a prendere la seconda mano di terzaroli, ma il fiocco resta fuori controllo. Accendiamo dunque il motore e dirigiamo verso la vicina scogliera sopravvento, dove, senza onda e con poco vento, possiamo riequilibrare la velatura e ripartire. Ma, orrore, ci accorgiamo di uno strappo lungo la balumina della randa! Scopriremo in seguito che il meolo si era attorcigliato alla borosa e, nel tesarla, la vela si era strappata per un metro e mezzo. Raggiungiamo ugualmente l’approdo di Manoel Island, troppo tardi tuttavia per comprare aghi e filo da vele e rimediare così all’avaria.
Siamo giocoforza costretti ad arrangiarci con i nostri mezzi ed iniziamo a cucire lo strappo con del comune filo interdentale (gusto menta). Dopo due ore di paziente “spina di pesce sfalsata”, la riparazione appare solida, discreta e gradevolmente profumata.
Il cenone trascorre allegro con il risotto marinaro e gli spaghetti alle vongole del nostro Vittorio (ottimi, complimenti!), poi il quadrato diventa una discoteca, dove si consumano balli sfrenati ed indicibili riti di iniziazione velica. Finiamo la serata mescolati alla movida maltese: noi imbacuccati nei pile, le indigene fasciate invece in abitini degni di una tangenziale nostrana …
L’anno nuovo esordisce con un forte maestrale che ci costringe a fare i turisti e, noleggiato un pulmino, visitiamo il nord dell’isola. Meno affascinante della parte sud, ma comunque suggestivo, soprattutto in alcuni scorci battuti violentemente dal mare agitato.
Per fortuna, domenica 3 gennaio, il meteo promette una progressiva attenuazione del vento, perciò lasciamo la trappa alle 8.45 e alle 9.30 siamo fuori dalla baia. Con 2 mani alla randa e fiocco rollato iniziamo la traversata: il sole splende ed il vento si assesta sui 20 nodi da N-W, ma l’onda è sui 2-3 metri e qualche spruzzo comincia a bagnarci. Noi avanziamo, un po’ sottoinvelati, di bolina larga, a 5 nodi, mentre Pino e i suoi sono più veloci, ma qualcuna di quell’equipaggio si mostra un po’ impaurita e vorrebbe tornare indietro o forse scendere. Convinta a desistere dall’insano gesto, la fanciulla si ritira nella sua cabina, apparentemente tranquillizzata. Si scoprirà solo dopo un enigmatico foglietto: “lascio la mia racchetta da tennis a …”.
Svanita la tensione iniziale, ci godiamo la cavalcata e liberata un po’ di tela a prua, anche noi iniziamo a correre, con punte di oltre 8 nodi. Progressivamente, il mare si placa ed anche il vento cala e, al tramonto, l’ultimo raggio del sole, quello verde, illumina i nostri volti soddisfatti.
Superato Capo Passero nell’oscurità, dirigiamo nel porticciolo della bella Marzamemi, dove, con 30 euro, sostiamo sui pontili a sinistra del porto, peraltro insabbiato in alcuni punti.
Festeggiamo l’entusiasmante traversata al ristorante “L’approdo” con pesce crudo, pasta alla bottarga di tonno e vino a volontà (25 euro). L’oste, al termine del lauto pasto, ci pone una domanda stravagante: quanti di voi sono accoppiati? Non so se la risposta ricevuta lo abbia soddisfatto; fatto sta che regala a tutti, accoppiati, separati, divorziati, single, stati liberi e altro una bottiglia di bianco locale. Un simpatico modo di concludere la serata.
Il lunedì proseguiamo verso Siracusa, dapprima a motore, poi con vento leggero, a vele piene. Sulla costa incombono nere nubi temporalesche e noi, riposto il guardaroba velico, a tutta forza entriamo nella grande baia siracusana, ormeggiando sotto la pioggia. Dedichiamo la serata alle meraviglie barocche della città, perdendoci fra i vicoli, che invitano a fughe romantiche. Degno di nota il gustoso aperitivo in un locale del centro, ma il prosecco è da querela.
L’indomani, dopo aver visitato il teatro greco e l’anfiteatro romano, lasciamo il pontile e rientriamo a Catania. Al lasco, la prua sull’Etna, si sente il tepore del sole e pasteggiamo con wurstel e cracker. Eolo non sostiene il nostro rientro e il buio ci coglie ancora lontani dalla meta. Di nuovo a motore, ci trasciniamo nel porto catanese, con il vento che torna ora ad infastidire il nostro ormeggio. La mattina, ultimo giro per il centro di Catania e pranzo alla “Paranza”: un ultimo assaggio di cucina marinara per provare ad allontanare ancora il momento del ritorno.
La nostra avventura finisce qui, ma non il sapore dell’acqua salata, che ci accompagnerà ancora a lungo, insieme ai ricordi dei nostri compagni di viaggio.
Gianluca Marcon
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